E' con la massima riverenza e umiltà che mi accingo a parlare di un gioco che ha segnato e contribuito alla gioia della mia adolescenza: Phoenix.
Esso fa parte del genere fixed shooters, derivati dalla famiglia “Space Invaders” e “Galaxian”, ovvero degli sparatutto con l'astronave ancorata ad una precisa zona dello schermo durante tutto il gioco, uscito nel 1980, programmato dalla Amstar Electronic, azienda residente a Phoenix, Arizona, e commercializzato da parte della Centuri in America e dalla Taito in Giappone. Si impose subito sul mercato per via di alcune caratteristiche molto importanti che diedero una svolta al modo di programmare i coin-op, e cioè: lo “shield” (lo scudo di protezione), i boss di fine livello, la rigenerazione dei nemici da abbattere e il fatto di avere sullo schermo molti colori in più rispetto ai giochi dell’epoca.
Queste caratteristiche contribuirono ad un successo meritato, che scaturì nella bellezza di più di 85.000 cabinati distribuiti, senza contare le varianti di costruzione e i cloni generati dal mercato nero.
Si inizia con un leggero scrolling dello spazio accompagnato da una musica caratteristica, Spanish Romance, per passare poi allo...
Schema 1: una moltitudine di alieni, simili ad uccelli, scendono da una formazione in movimento, oltre a lanciare dei missili verso di noi, possono bloccarsi a metà dell'area di gioco per poi ritornare in formazione.
Schema 3: veniamo proiettati in uno spazio a sfondo nero in cui delle palline si trasformano in uccelli con ali grandi, e per morire necessiteranno di un colpo al centro dell’alieno, in quanto nel caso in cui colpissimo le ali queste spariranno ma non senza distruggere del tutto il nostro nemico. Inoltre, con il passare del tempo, le ali si rigenerano dando più velocità allo stesso.
Schema 4: stessa situazione dello schema 3, ma con alieni leggermente più veloci.
Schema 5: rappresenta “la madre di tutti i boss”: abbiamo una astronave protetta da uno scudo iniziale, al centro una specie di protezione rotante che può venire bucata solo dopo aver attraversato lo strato primario, e il boss vero e proprio nel bel mezzo dell’astronave. Per abbattere il nemico finale basta un colpo, ma sia dall’astronave sia dagli alieni di supporto riceveremo valanghe di missili contro di noi. Si nota, nel boss, la somiglianza con gli alieni di Space Invaders, oltre alla nave madre che lentamente scende verso di noi.
Una volta abbattuto il boss, i livelli ricominciano con una difficoltà sempre maggiore.
Curiosità: dal 1983, Matt Gotfraind, detiene il record mondiale di ben 987.620 punti, certificato da Twin Galaxies.
Il gioco è stato convertito per:
Atari 2600 (col nome originale Phoenix)
Arcadia Emerson (col nome di Vulture Space)
ZX Spectrum (col nome di Pheenix)
BBC B (col nome di EagleEmpire)
Playstation 2 (raccolta Taito Legends)
Xbox (raccolta Taito Legends)
Tandy TRS-80 Computer (col nome di Demon Seed)
Commodore 64 (col nome di Empire Eagle)
Apple II (col nome di Falcon)
PC MS Windows (raccolta Taito Legends)
La conversione migliore in assoluto (a detta degli utenti) è quella per Atari 2600.
Inoltre, non si contano i cloni realizzati: Griffon, Falcon, Vautour, Condor, Batman Part 2 (per via delle leggere modifiche agli sprite che rendevano somiglianti gli alieni con i pipistrelli), senza dimenticare le versioni anche per calcolatori grafici, per esempio l’HP48 (http://www.hpcalc.org/details.php?id=557), e altre non documentate, rendendo Phoenix uno degli arcade maggiormente clonati.
Benchè l’hardware impiegato, specie all’epoca, fosse stato realizzato esclusivamente per questo gioco, non mancano realizzazioni o conversioni per altre schede basate su altri processori.
L’originale motherboard infatti era composta da:
CPU 8085A @ 2.75 MHz
audio TMS36XX @ 0.0372 KHz
audio Custom
Risoluzione video 208 x 248 pixel
Colori: 256
Mentre un clone, Griffon della Videotron portava questa elettronica:
Main CPU : Z80 (@ 2.75 Mhz)
Sound Chips : TMS36XX @ 0.372 Khz
audio Custom
Risoluzione video 208 x 248 pixel
Colori: 256
"Che dire di più sulla sezione tecnica? Niente. Che dire invece a livello emozionale? Tante cose. Le serate passate in sala giochi durante la sagra paesana, le monetine che scivolavano inesorabilmente, le urla degli amici che ti davano indicazioni, la rabbia e la frustrazione per non riuscire a fare punteggio, la gioia nel far esplodere il boss di fine livello dopo aver sudato non le sette ma le settanta camicie... Phoenix, per chi, come il sottoscritto, ha vissuto in quegli anni e non può non averlo giocato, è uno dei migliori arcade del suo tempo, da ricordare con una lacrimuccia che scende sul viso."